La storia di Abar l’abbiamo fatta noi, insieme.
Ma la storia dell’azienda l’ha iniziata soprattutto lui, mio marito.
Lavorava come dipendente in una cartotecnica. Dopo il matrimonio si è messo in proprio e mi ha chiesto se avessi voluto dargli una mano.
«Sì», gli ho subito risposto.
Anche se non sapevo nulla di contabilità ho iniziato a occuparmi dell’amministrazione dei conti.
Basta la buona volontà e nella vita tutto si impara.
E io quel mestiere alla fine l’ho imparato.
Da sola.
Quando siamo partiti eravamo piccoli: bastava una persona per tenere i conti in ordine. A distanza di molti anni posso dire che me la sono cavata bene.
La voglia di farcela era la nostra carica: senza risparmiarci siamo andati avanti.
Non per avere chissà che cosa o per arrivare a chissà quanto, ma per scoprire che cosa la vita ci avrebbe riservato con il nostro lavoro.
A me piacevano le cose nuove, a mio marito piaceva realizzarle.
Ma con la creatività – soprattutto a quei tempi, era la fine degli anni ’50 – ci voleva un bel po’ di coraggio e noi non ci siamo mai tirati indietro.
Se mi fosse venuto un dubbio, mio marito mi avrebbe spinta a superarlo.
Se il dubbio fosse sorto a lui, io avrei spinto lui a oltrepassarlo.
Ci siamo fatti forza a vicenda: l’intesa tra di noi era perfetta nonostante le difficoltà di quegli anni.
Era un progetto imprenditoriale che andava a sostenere un progetto di famiglia.
Sarebbe stata quella la spinta ulteriore: che un giorno la storia di Abar l’avrebbero scritta le nostre figlie.
Sono passati 60 anni e non ce ne siamo accorti perché – se vado indietro nel tempo – ora posso vedere che ogni giorno abbiamo fatto un passo in avanti.
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